La fusione del “Vento di Levante” posto al centro della piazza di San Pietro, ci ricorda la ricchezza di contenuti, a volte anche nascosti, presenti nelle grandi opere che appartengono alla nostra storia.


Il “Vento di Levante” è stato posto al centro del padiglione della Santa Sede all’Expo di Orticoltura di Pechino, inaugurato il 29 aprile 2019.


Ricordare un evento attraverso la tecnica della fusione in bronzo tributa importanza al contesto, sottolinea le intenzioni, attribuisce un valore alle cose che diventano simbolo di un incontro e possibilmente di un accordo, infine, evidenzia una volontà di avvicinamento tra due parti.

La riproduzione di questa porzione del sagrato di San Pietro, non è stata in tutto un’opera artistica ma prevalentemente tecnica.

La pavimentazione e l’ovale in marmo del vento di levante, sono stati acquisiti con uno scanner 3D messo a disposizione dall’accademia di Belle Arti di L’Aquila.

La scansione è stata poi elaborata in modellazione 3D, e dunque si è giunti alla perfetta riproduzione dell’originale.

 

Fatto in parti, esse hanno costituito elementi separati del tutto, fusi singolarmente in terra, poi ricomposti e saldati.

Il bronzo è stato ottenuto con la tecnica di fusione in terra.

Così, quella porzione riprodotta della Rosa dei Venti, ha portato idealmente Piazza San Pietro a Pechino.

Nell’Esposizione Internazionale di Orticoltura, milioni di visitatori hanno camminato idealmente al centro di piazza San Pietro come un “Vento di Levante”.

Nell’originale in Roma, la pavimentazione presenta un cerchio di marmo che corre tutto intorno all’obelisco che è l’asse centrale della piazza.

A circa 10 metri da esso, si può osservare la “Rosa dei Venti”, che indica la provenienza dei venti. La disposizione della pavimentazione con la Rosa dei Venti risale al 1817 ad opera dell’abate astronomo Filippo Luigi Gilij, autore fra l’altro anche di linee nel pavimento, nell’altro lato della piazza, che trasformano l’obelisco Vaticano in una gigantesca meridiana. Oltre ad essere astronomo, l’abate Filippo Luigi Gilij, era anche un esperto naturalista.

In Vaticano aveva un orto dove coltivava, unicamente piante del Sud America. Nel 1789, aveva scritto un libro di botanica: “Osservazioni fitologiche sopra alcune piante esotiche introdotte in Roma“.

Dunque, nulla di più appropriato, per provocare sintonie con il popolo cinese nel contesto dell’Expo di Orticoltura del 2019

Per quanto le moderne tecnologie facilitano la fase progettuale e anche la realizzazione della forma, il processo di fusione in bronzo, per l’antico fascino, è ancora insuperato.

DS